La bozza del ddl di stabilità per il 2013, ha introdotto la cosiddetta Tobin Tax una imposta pari allo 0,05% del controvalore di ogni singola operazione avente per oggetto un qualsiasi valore mobiliare negoziabile sulle Borse valori fatta eccezione, per i Titoli di Stato. Questa imposta cambierà le abitudini di investimento degli italiani penalizzando, in particolare, coloro che effettuano un elevato numero di operazioni soprattutto su strumenti finanziari derivati su cui l’imposta di bollo sarà ancora più gravosa, in quanto verrà calcolata non sul valore a margine ma sul controvalore totale del sottostante il contratto.
Questa imposta disincentiverà gli investimenti di breve termine e probabilmente porterà a una migrazione verso strumenti finanziari più conservativi sui quali l’imposta non graverà. I Titoli di Stato saranno senz’altro un rifugio prediletto dai risparmiatori ma l’attenuarsi delle tensioni sul mercato italiano e la conseguente riduzione degli spread e dei rendimenti, tanto sul breve quanto sul lungo periodo rende attualmente i Bot meno redditizio di diversi conti deposito. Basti pensare che il Bot in scadenza il 14 ottobre 2013 prezza 98,51 che corrisponde, al rimborso a scadenza, a un rendimento dell’1,3% (al netto della ritenuta fiscale agevolata del 12,5% che si applica sui titoli di Stato) contro un rendimento del 3.6% netto offerto, ad esempio, sul conto deposito ContoForte 12 mesi di BancaMediocredito FriuliVenezia Giulia. Sui due anni, prendendo il BTp che scade il 15 novembre 2014 il rendimento netto si attesta all’1,48% contro il 3.88% offerto ad esempio dal conto deposito Rendimax vincolato 24 mesi di BancaIFIS
A ben vedere il rischio è anche di una migrazione all’estero dei capitali dei traders italiani verso paesi dell’Unione Europea in cui la Tobin tax non si applicherà come Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia ecc senza contare che fuori dall’Unione Europea nessun paese l’applica. Questo comporterebbe una drastica riduzione della liquidità degli strumenti su cui graverà l’imposta favorendo quelli esenti con un aumento esponenziale dei rischi in quanto paradossalmente si pagherebbe l’imposta anche sulle operazioni in perdita, oltre al bollo titoli dello 0,15% sul patrimonio, l’imposta sui conti correnti e il capital gain al 20%. I traders, che contribuiscono per circa un terzo del controvalore scambiato giornalmente su Borsa italiana, non avrebbero più alcun interesse ad operare e conseguentemente gli incassi auspicati dai Governi sarebbero molto minori a quelli stimati oltre a produrre nuova disoccupazioni fra banche/sim e operatori legati al trading on line
Il rischio concreto è che la tobin tax nel tempo non dia i risultati sperati e soprattutto non colpirà gli speculatori come da auspici del legislatore. Questo perché presumibilmente i piccoli risparmiatori smetteranno di finanziarie le società italiane quotate sul mercato (non generando più profitti per lo Stato con i Capital gain) e i grandi istituzionali si doteranno di strutture in grado di eludere la norma o abbandoneranno il mercato italiano in favore di paesi dove la TobinTax non c’è. Il pericolo è che la Tobin Tax finisca come la tassa sulle imbarcazioni: con il Fisco quasi a bocca asciutta, i porti turistici deserti, migliaia di posti di lavoro persi nel settore della nautica e gli yacht italiani ormeggiati tra la Corsica e la Croazia. Se l’obiettivo è far gettito molto meglio applicare una imposta fissa (magari di 1€) su ogni transazione o implementare imposte sul capital gain crescenti con un meccanismo analogo all’Irpef (ad esempio paghi il 20% sui primi 15.000€ di profitto e poi con degli scaglioni con aliquote crescenti fino al 40%) oppure tassando gli ordini revocati (bloccando di fatto l’High Frequency trading) o i mercati over the counter. Per consultare un video sull’argomento: http://www.youtube.com/watch?v=Ldt2mjYCb6M
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