Secondo le statistiche più recenti, mediamente 1-2 persone su 100 soffrono di disturbi legati all’incontinenza delle feci; le percentuali però si innalzano notevolmente in alcune fasce della popolazione, toccando anche la doppia cifra quando si parla di categorie “a rischio” quali ad esempio anziani o donne che hanno partorito da poco.
Quella dell’incontinenza anale è una condizione problematica e difficile da affrontare, ma non per questo bisogna tirare i remi in barca e rassegnarsi. Innanzitutto occorre consultare un medico senza indugio: si può iniziare col proprio medico di famiglia, oppure rivolgersi direttamente a uno specialista in proctologia che saprà eseguire una diagnosi precisa del problema.
Esami che tipicamente vengono effettuati sono, ad esempio, la classica manometria anale, oppure esami rettali digitali, elettromiografie allo sfintere o defecografie, solo per citare alcuni dei più comuni accertamenti medici.
Dopo aver stabilito con precisione cause, tipologia ed entità dell’incontinenza fecale, il medico saprà anche indicare la terapia più adatta. Ad esempio è possibile che i problemi meno gravi possano essere risolti con un cambio di dieta (es. maggiori fibre che promuovono la compattezza della massa fecale) oppure con gli esercizi di Kegel che rinforzano e danno tono ai muscoli del pavimento pelvico.
Quand’anche questi approcci non dovessero dare gli effetti desiderati, esiste la possibilità di sottoporsi a cure di natura chirurgica per la risoluzione dei problemi di incontinenza. Una delle più efficaci è il metodo THD Gatekeeper, che promuove la funzionalità sfinteriale facendo ricorso a impianti autoespandenti; l’intervento è mininvasivo e i tempi di recupero sono brevissimi.
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